“IL MALATO IMMAGINARIO”…QUADRO CLINICO DI UNA SOFFERENZA REALE

“Vengono ingiustamente detti immaginari mali che sono invece fin troppo reali, dato che procedono dalla nostra mente, unico regolatore del nostro equilibrio e della nostra salute.”

                                                                                                                                             E.M. Cioran

 

NOTTI BIANCHE

È giorno, finalmente. Guardo la sveglia sul comodino: sono le 5. Mi siedo sul letto, ho l’affanno; controllo i battiti del mio cuore tastando il polso: il battito è accelerato, troppo. Mi volto a guardarlo, lui dorme ancora, beato. Se solo avessi potuto svegliarlo questa notte! Avrebbe controllato anche lui, lo avrebbe sentito quel battito irregolare e avrebbe smesso di dirmi che sono la solita esagerata, che tutto è nella mia testa, che tutto è normale, che tutto va bene… no! Non va bene! Ecco una fitta al petto. Aumenta il senso di oppressione al torace. Lui dorme, altrimenti mi direbbe che si tratta della mia gastrite… non avrei dovuto fare quella gastroscopia! Come se sapere di avere la gastrite possa essere una rassicurazione costante, una garanzia definitiva di non poter avere nient’altro! Lui dorme ancora, beato. Non potevo svegliarlo stanotte, ancora una volta. È stato sveglio quasi tutta la notte l’altro ieri per via di quel dannato formicolio! Dio che paura! E quell’attesa infinita al pronto soccorso… non riesco a dimenticare il suo sguardo. Come può uno sguardo racchiudere così tante cose? Tanti sentimenti, tanti giudizi. Amarezza, disappunto, dispregio… e amore. Si, lui mi ama, lo so. Dopo una tac, dopo un’ecografia mi guarda così. Ma lui riesce sempre a provare sollievo, riesce a sentire quella sensazione meravigliosa. Io non so cosa sia. Darei qualunque cosa perché mi levassero questo peso che opprime l’anima. Quella risposta, sempre la stessa: “lei non ha nulla”… per me non è altro che una delusione, per l’ennesima svista, per un altro medico superficiale, per non aver scoperto ciò che prima o poi mi ucciderà…

 

Amore ti prego, solo un controllo

“Amore, ti prego, solo un controllo”. Lei mi guarda e sorride. “Ok!”

Non è imbarazzante. Non più… Lo fa ogni giorno. Sono solo pochi minuti. No, non ci sono tumefazioni, è tutto a posto.

Certo non ho dolore e i miei spermatozoi sembrano stare alla grande, ho fatto tutte le analisi. Ma che c’entra? Io lo sento, può arrivare all’improvviso. E le analisi non bastano; si va bene, non ci sono i sintomi, ma ho letto su internet che il primo stadio potrebbe essere asintomatico. L’ansia mi tormenta, ogni giorno, ogni ora, in ogni luogo. E ho bisogno di essere rassicurato. Solo lei riesce a farlo. Le rassicurazioni funzionano, lì per lì… poi ricomincio a pensare.

 

Stralci di pensieri, nuclei d’angoscia e storie d’ordinaria sofferenza.

L’individuo è un’unità inscindibile. Tracciare dei confini tra la sfera psichica e quella somatica è solo un esercizio arbitrario. Eppure, ancora oggi, esiste una mal celata tendenza a considerare reale e degno di attenzione un sintomo somatico che abbia un’origine squisitamente organica. Quando però la fonte del sintomo non è identificabile, se non nei meandri della nostra mente, quello stesso sintomo perde la sua attendibilità, la sua dignità di indicatore di una concreta sofferenza.

Avvertire dolori e sintomi insoliti che provengono dal proprio corpo può scatenare una legittima preoccupazione di “avere qualcosa che non va”. Allora ci si reca dal proprio medico e dopo un consulto ed eventualmente alcuni esami, se non viene riscontrata una patologia, ci si tranquillizza e si torna alla vita di tutti i giorni. A volte questo non accade e né le rassicurazioni del medico, né gli esiti degli accertamenti sembrano essere sufficienti ad alleviare l’ansia. Le preoccupazioni riguardo alla malattia crescono e assumono un ruolo centrale nella vita di tutti giorni, condizionano profondamente le attività quotidiane, influenzano le relazioni personali. Così la paura della malattia diventa un elemento centrale dell’identità di un individuo, una peculiarità vincolante dell’immagine di se stessi.

Venivano chiamati ipocondriaci, tempo fa. Il termine ipocondria, però, è stato spesso privato della sua originaria definizione medica ed è stato usato, volgarmente e in appropriatamente, per definire una varietà di disturbi che hanno come caratteristica comune la presenza di una sintomatologia fisica non imputabile ad alcuna condizione medica specifica.

Oggi il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali propone una profonda revisione, non solo terminologica, dell’intera categoria dei disturbi somatoformi, sostituendola con quella dei Disturbi da Sintomi Somatici e Disturbi Correlati. La nuova categoria comprende, oltre al disturbo da ansia di malattia (già conosciuto come ipocondria), il disturbo da conversione (caratterizzato dalla presenza di sintomi che coinvolgono le funzioni motorie volontarie e sensitive, privi di una spiegazione medica, come per esempio, paralisi di una parte del corpo, parestesie, tremori ecc.) e il disturbo da sintomi somatici, in cui rientra tutta la gamma di disturbi che presentano sintomi fisici accompagnati da un’eccessiva preoccupazione per la propria salute (disturbo da somatizzazione, disturbo algico, disturbo indifferenziato somatoforme). Tale cambiamento nosologico risponde all’esigenza di facilitare l’inquadramento e l’interpretazione dei disturbi da sintomi somatici ed evitare le sovrapposizioni diagnostiche tra patologie complesse e con sintomatologie spesso molto simili.

Nei disturbi da sintomi somatici, infatti, è possibile riconoscere dei tratti comuni: si tratta di disturbi tendenzialmente cronici, sono presenti fastidi fisici ricorrenti (disturbi gastrointestinali, dolori osteomuscolari, nevralgie, vertigini, formicolii ecc.) che potrebbero apparire del tutto sovrapponibili a sintomatologie determinate da condizioni mediche specifiche, ma che risultano in realtà prive di qualunque causa organica e non sono riconducibili alla presenza di una reale disfunzione o malattia fisica. Ciò che invece risulta tristemente e pienamente reale è il significativo disagio di chi ne soffre, sul piano fisico, emotivo e relazionale.

L’impossibilità di individuare la ragione concreta del proprio malessere, nonostante continue visite mediche ed esami clinici, la sensazione di non essere presi sul serio e di non ricevere le cure appropriate, rappresentano una fonte costante di stress e ansia. Con il passare del tempo, la preoccupazione per la propria salute diventa un pensiero persistente e pervasivo che non solo genera una notevole sofferenza emotiva, ma limita significativamente il funzionamento sociale e/o lavorativo dell’individuo.

La “somatizzazione” non è di per sé patologica poiché rappresenta una naturale modalità di risposta agli stimoli stressanti della vita, il nostro corpo reagisce istintivamente alle emozioni, ciò che conduce invece al “disturbo” è proprio l’intensità e la frequenza di tale reazione.

Nel disturbo d’ansia da malattia, più che una reale sintomatologia somatica, esiste un’errata interpretazione dei vissuti corporei che vengono avvertiti dalla persona come segnali incontrovertibili di una malattia; né il parere di un medico, né gli esami clinici possono scongiurare il pericolo di un male che resta in agguato poiché la sua origine è emotiva e relazionale: i comportamenti ipocondriaci svolgono un ruolo protettivo allontanando e “trasformando” vissuti emotivi dolorosi che l’individuo non riesce ad elaborare diversamente. La fobia della malattia e il sintomo “psicosomatico” sono perciò il risultato di meccanismi di difesa che si attivano in relazione a conflitti ed emozioni che risulterebbero dolorose e intollerabili: accade dunque che inconsciamente l’individuo “preferisca” spostare, trasferire sul corpo o su una parte di esso, ciò che è difficile affrontare in maniera cosciente. La somatizzazione diviene una risposta all’incapacità di mentalizzare, di esprimere simbolicamente un disagio psicologico, per cui le emozioni ad esso collegate non vengono percepite. Esistono però fattori culturali, sociali e familiari che possono contribuire non solo all’insorgenza di tali disturbi, ma anche e soprattutto al loro perdurare. Un’organizzazione familiare caratterizzata dalla comune incapacità di verbalizzare i propri vissuti emotivi, ad esempio, può giocare un ruolo fondamentale nell’insorgenza e nel mantenimento di una sindrome “psicosomatica” in uno dei membri della famiglia che, attraverso il proprio sintomo, contribuisce al mantenimento di uno pseudo-equilibrio familiare.

La psicoterapia perciò si rivela un percorso essenziale nell’aiutare il paziente a mentalizzare il conflitto psichico che genera il sintomo e ad individuare quei fattori che hanno contribuito a mantenere in vita nel tempo un disturbo.

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